martedì 25 novembre 2014

COLLABORAZIONI CON TITOLARI P.IVA: DAL 1° GENNAIO SCATTANO I CONTROLLI

La L. 92/2012 (Legge Fornero), al fine di contrastare l’abuso delle collaborazioni con titolari di partita IVA - istituto spesso utilizzato impropriamente per eludere le normative sul lavoro parasubordinato - ha fissato alcuni parametri per stabilire ed evidenziare la presenza di monocommittenze incompatibili con l’effettivo incarico di lavoro autonomo occasionale.

Tali prestazioni, in presenza dei presupposti che richiameremo tra poco, vengono assoggettate ex lege alla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, salva prova contraria a carico del committente.

La presunzione che si tratti di lavoro parasubordinato e non di lavoro autonomo scatta quando in sede di verifica ispettiva emergano almeno due dei seguenti presupposti:
- la collaborazione col medesimo committente ha durata complessiva superiore a 240 giorni (8 mesi) all’anno per due anni consecutivi;
- il compenso derivante da tale prestazione costituisce più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore e derivati da prestazioni autonome nell’arco di due anni solari consecutivi;
- il lavoratore dispone di una postazione fissa di lavoro presso una sede del committente.
Le presunzioni suindicate tuttavia non si applicano qualora la prestazione sia effettuata nell’esercizio dell’attività professionale per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione ad un ordine professionale (albo, ruolo, registro, ecc.).

Essendo tale normativa entrata in vigore il 1° gennaio 2013 e avendo quindi gli Ispettori a disposizione i 2 anni civili (2013 e 2014) idonei al controllo dei primi due presupposti (durata e corrispettivo), dal 1° gennaio 2015 inizieranno le verifiche ispettive circa la genuinità dei rapporti autonomi instaurati con possessori di partita IVA.

Il Ministero comunque sottolinea che l’eventuale disconoscimento del rapporto autonomo potrà avvenire anche in assenza delle presunzioni suindicate, qualora il personale ispettivo evidenzi la sussistenza dei criteri “ordinari” di qualificazione ed i relativi indici sintomatici di un rapporto di lavoro subordinato.

mercoledì 12 novembre 2014

UN DIPENDENTE IN MALATTIA USA LA MOTO? PER LA CASSAZIONE PUÒ ESSERE LICENZIATO

Il dipendente in malattia non può andare in giro in moto.
E se lo fa è giusto licenziarlo perché dimostra "scarsa attenzione alla propria salute", anche se la sua malattia non impedisce, in teoria, di adoperare un mezzo a due ruote.


Con una sentenza che ha ribaltato la decisione dei giudici di merito , la Cassazione ha accolto il ricorso del datore di lavoro, una Casa di cura, che aveva licenziato un medico dipendente part-time, che durante un periodo di malattia usava la moto per andare prima al mare e poi a dirigere un altro Centro sanitario privato.

Il medico motociclista era in malattia per una artrosi dell'anca ed è stato licenziato perché la casa di cura dove prestava servizio gli aveva contestato che il suo comportamento "comprometteva la guarigione" e dunque causava un danno all'azienda.
Al contrario, il dipendente sosteneva che i bagni di mare erano finalizzati al recupero funzionale, tesi sostanzialmente condivisa dalla Corte d'Appello.
I giudici avevano ammesso che effettivamente andare a fare un bagno non fosse "in contrasto con gli obblighi di cura e riposo in modo da compromettere la guarigione".

Di diverso avviso i giudici della sezione lavoro della Cassazione che, con la sentenza 9474, hanno annullato con rinvio la decisione di secondo grado.
Il nuovo processo che risolverà la questione dovrà però tenere conto delle osservazioni della Suprema Corte.
Se è vero che in assoluto non si può sostenere che un bagno in mare comprometta la guarigione di un'artrosi all'anca, ha riconosciuto la Cassazione, e che in astratto non può essere contestato il secondo lavoro ad un dipendente part-time, nel caso concreto le cose vanno valutate diversamente.
Anzitutto, dice la Corte, il fatto che il medico in malattia continuasse a lavorare per un'altra azienda dimostra che "lo stato di malattia non è assoluto" e pertanto "l'espletamento di un'altra attività costituisce violazione dei doveri contrattuali di correttezza e buona fede".
Per non parlare poi degli spostamenti con la moto: un comportamento che "denota una scarsa attenzione ai doveri di cura" e che di fatto ritarda la guarigione.

martedì 11 novembre 2014

SMARTPHONE AZIENDALI E LOCALIZZAZIONE DEI DIPENDENTI: IL GARANTE PRIVACY ESPRIME IL SUO PARERE

A seguito della presentazione di istanza di verifica preliminare da parte di due società telefoniche, il Garante per la protezione dei dati personali, con la newsletter n. 395 del 3 novembre 2014, ha precisato che è ammesso l’utilizzo dei dati di localizzazione geografica, rilevati da una app attiva sugli smartphone in dotazione ai lavoratori.
L’importante è che i dipendenti siano ben informati sulle caratteristiche dell’applicazione e sui trattamenti di dati effettuati dalle società.


A tutela della riservatezza dei dipendenti l'Autorità ha prescritto l'adozione di una serie di accorgimenti e di stringenti misure di sicurezza.
Lo smartphone per le proprie caratteristiche è destinato a "seguire" la persona che lo possiede, senza distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro. Il trattamento dei dati di localizzazione può presentare, quindi, rischi specifici per la libertà (es. di circolazione e di comunicazione), i diritti e la dignità del dipendente.
Per questo motivo, le società, che si sono anche impegnate a raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali, dovranno adottare specifiche misure volte a garantire che le informazioni visibili o utilizzabili dalla app siano solo quelle di geolocalizzazione, impedendo l'accesso ad altri dati, quali ad esempio, sms, posta elettronica, traffico telefonico.

Garante per la protezione dei dati personali - Newsletter n. 395 del 3 novembre 2014